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:::>>> L’Autobiografia: raccontarsi come cura di Sé di Gabriella D'Amore Costa

fogli bianchi sono la dismisura dell’anima
e io su questo sapore agrodolce
vorrò un giorno morire,
perché il foglio bianco è violento.
Violento come una bandiera,
una voragine di fuoco,
e così io mi compongo
lettera su lettera all’infinito
affinchè uno mi legga
ma nessuno impari nulla
perché la vita è sorso,
e sorso di vita i fogli bianchi
dismisura dell’anima

(Alda Merini)

 

 

Cercavo un incipit per parlare di autobiografia, qualcosa che toccasse il cuore delle persone e le incuriosisse in modo da arrivare in fondo all’articolo e “per caso” mi è capitato tra le mani un romanzo “Treno di notte per Lisbona” di Pascal Mercier e tra le pagine di questo libro un brano che ha colpito tutti i miei sensi, intenerito la mia anima e dato forse un senso a quello che leggerete dopo.....

“delle mille esperienze che facciamo, riusciamo a tradurne in parole al massimo una e anche questa solo per caso e senza l’accuratezza che meriterebbe. Fra tutte le esperienze mute si celano quelle che, a nostra insaputa, conferiscono alla nostra vita la sua forma, il suo colore, la sua melodia. Allorchè ci volgiamo, quali archeologi dell’anima, a questi tesori scopriamo quanto sconcertanti essi siano. L’oggetto che prendiamo in esame si rifiuta di stare fermo, le parole scivolano via dal vissuto e alla fine sulla carta rimangono pure affermazioni contraddittorie. Per lungo tempo ho creduto che questa fosse una mancanza, una pecca, qualcosa che si dovesse superare. Oggi penso che le cose stiano diversamente: che il riconoscimento dello sconcerto sia la via regia per giungere alla comprensione di quelle esperienze tanto familiari quanto enigmatiche. Tutto ciò può suonare strano, anzi singolare, lo so. Ma da quando vedo la faccenda in questo modo, ho la sensazione di essere per la prima volta davvero vigile e vivo.....”

“C’è un momento nel corso della nostra vita, come dice Duccio Demetrio ,in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. “Capita a tutti, prima o poi .... da quando forse, la scrittura si è assunta il compito di raccontare in prima persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della memoria....” (D.Demetrio – “Raccontarsi” p.1).

Raccontare di sé, della propria vita, dei propri ricordi, dei successi e delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli amici e degli amori,…l'autobiografia è uno sforzo di attenzione/cura di sé che collega parti differenti della nostra vita fornendo un repertorio di modi di essere di sé nel tempo e nello spazio ed un senso del proprio posto nel mondo, secondo una prospettiva di continua costruzione e ri-costruzione della propria immagine identitaria.

E', dunque, da un lato, organizzazione e formalizzazione dell'identità vissuta, dall'altro raccolta e organizzazione di elementi costitutivi l'immagine di sé capaci di essere strumenti per scoprire la personale chance evolutiva che ognuno di noi possiede quella “tendenza attualizzante”, coniata da Rogers in base al quale ogni individuo ha in sé la capacità di realizzare le proprie potenzialità . La rivisitazione della propria vita è così sempre un invito e quasi una necessità di ricominciare a vivere e a cercare, abilitandosi a vivere il tempo futuro, consapevole che ogni abilitazione non è mai l'ultima e che ogni abilità maturata nasconde sempre un'altra faccia di sé che è quella del non-ancora-realizzato.

Scrivere di sè è un modo di attribuire un significato alle esperienze passate per poter costruire il proprio futuro;  può aiutarci a ripensare a chi siamo e alla nostra storia; ci obbliga a fermarci un attimo e a capire dove siamo.

Narrare di Sé riattualizzando il passato sollecita nelle persone il recupero di “ quelle tracce di senso” esistenziali, spirituali, relazionali, cognitive, affettive presenti lungo il continuum esperienziale della personale storia di vita e, spesso, sommerse, e in-comprese dalla tumultuosità di quello che ci accade, unite spesso, dalla superficialità e automaticità che accompagnano le azioni della vita quotidiana. Azioni vissute frequentemente come disunite e apparentemente prive di connessioni, per le molteplici interferenze e imprevisti che accrescono il disagio, il disorientamento e ci costringono reattivamente a patteggiare, ad operare scelte, non senza sofferenza e frustrazioni, in un continuo costruire e ri-costruire contesti di vita.

Parlando di sé ci si consente inoltre di sentirsi autore, protagonista e regista di quello che si sta scrivendo. Questo sentirsi personaggio principale ci ricompensa di tutto quel tempo in cui la vita ci ha “obbligato” ad essere comparse, spettatori a volte muti di tutto quanto si è fatto.

Lo spazio autobiografico è il tempo della “tregua”, una “base sicura” nata da noi stessi per noi stessi, in cui pressante diventa il rintracciare i molti ruoli, le molte parti recitate non per colpevolizzarci, bensì per attendere alla “sutura”, alla ri-composizione di tutti i frammenti.

Ri-tessendo le trame della nostra esistenza, alla moviola di uno spazio-tempo  per sé, si genera, altresì, quel momento essenziale di distanza emotiva da se stessi mentre si rivive se stessi, necessario per guardarsi sulla scena cercando di individuare ruoli, battute, esibizioni superflue o viceversa cruciali.

Fare autobiografia è un darsi pace, pur affrontando il dolore del ricordo: scrivendone, infatti, si allevia la sofferenza e se ne rielabora il senso.

E’ trovare una stanza tutta nostra in cui far emergere dallo sfondo indistinto cose ,fatti, sensazioni, figure.

E’ un guardarsi dall’alto osservandoci “come un paesaggio affatto ordinato dove, in quanto autori, stabiliamo simmetrie e asimmetrie, zone oscure o chiarificate, picchi o pianure, vie maestre e sentieri.... non sempre le figure emergono evidenti. E’ però un tentativo della mente di ritrovare un punto, un’ansa ..... al quale ancorarsi. Almeno per qualche istante, tra giochi della memoria e riflessioni sul senso degli accadimenti...” (D.Demetrio “Raccontarsi” pag.34).

Raccontare la propria storia, cercando di portare alla luce dalla penombra dell’oblio le immagini più lontane che si credevano perdute ma che invece sono ancora lì tra le pieghe della nostra memoria, è un atto di solidarietà e amore verso se stessi, è un voler prendersi per mano entrando in contatto in modo autentico con il nostro mondo emozionale iniziando un viaggio verso la parte più profonda di noi stessi portandola alla luce in tutta la sua ricchezza e le sue sfaccettature.

 

Da tutto ciò possiamo delineare i benefici della pratica autobiografica in un percorso di Arteterapia.

Raccontare la nostra storia, scriverla, buttarla fuori, è già di per se stesso un atto liberatorio. Non può cancellare il dolore o la sofferenza, ma può essere almeno un modo per prenderne le distanze, per mettere un punto. Questo è uno dei motivi più profondi (e per questo curativi) dell’autobiografia. Scrivere di sé è qualcosa che aiuta a stare bene, o meglio.

Prendendosi del tempo per sé, vuol dire aver cura di noi, in sintesi: volerci più bene. Inoltre l’ascolto di noi stessi ci aiuta anche ad aumentare la nostra capacità di ascolto verso gli altri.

Ritornare con la mente ad eventi ed emozioni passate ci fa capire il motivo di scelte che forse oggi non faremmo più ma in quel momento rappresentavano l’unico modo possibile e questo ci aiuta a perdonarci, ad alleviare quei sensi di colpa che spesso avvelenano la nostra vita.

Andare alla scoperta di pezzi lontani della nostra storia vuol  dire anche riannodare fili che credevamo persi , trovando il coraggio di elaborare eventi che sembravano compiuti , giungendo a spiegazioni fino a quel momento rimaste nascoste, aprendosi così spazi di progettualità e cambiamento e permettendoci di intravedere ciò che è possibile fare ancora.

Andare alla ricerca dei ricordi, serve anche a ricercare la bellezza di tanti momenti che abbiamo dimenticato . Gli esercizi della memoria, ci aiutano a tirarli fuori, e così ..... a sorridere di più.

Scrivere di sé e condividere la nostra esperienza con altri, significa offrire ad altri la possibilità di conoscerci così come noi ci percepiamo riscoprendo il nostro valore , arricchendo la nostra immagine e di conseguenza aumentando la nostra autostima. Ci permette inoltre di trovare cose comuni e punti di contatto sentendosi così vicini e sviluppando sentimenti di unione. Crea comunicazione.

Narrare di sé, aiuta ad acquisire sicurezza. Ad operare delle scelte ascoltando le nostre intuizioni più profonde, superando la paura del  giudizio degli altri.

E da ultimo l’aspetto più importante è sentire che si è vissuto e che si sta ancora vivendo.

 

Gabriella D’Amore Costa – Ottobre 2008
>>>347 1751469
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mail to: gabriellacosta@artcounseling.it

 

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Bibliografia:

Duccio Demetrio “Raccontarsi” Ed. Raffaello Cortina
Duccio Demetrio “Il gioco della vita “ Ed.Guerini e Associati
Fernando Pessoa “Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares” Ed. Feltrinelli

 

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